non mi voglio curare
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Non mi voglio curare

Da qualche anno ricopro il ruolo di amministratore di sostegno per alcune persone con diverse problematiche.

Vengo recentemente nominata amministratore di sostegno di una donna anziana; ho accettato nonostante mi fossi ripromessa di non ricoprire tale ruolo per nessun altro: gli impegni di lavoro, la famiglia… eppure, nel sentire la sua storia, non ho saputo rifiutarmi.

L’anzianità si fa sentire, la signora ha necessità di aiuto. Alterna momenti di lucidità a momenti di carenza di memoria. I suoi occhi assomigliano moltissimo a quelli della mia nonna.

Quando l’ho vista per la prima volta mi ha preso a braccetto, esattamente come faceva lei.

Si scopre che la signora ha una malattia grave che richiederebbe un’operazione chirurgica, ma non vuole essere operata.

Così, sono costretta ad interrogarmi non solo in merito alle mie responsabilità di tipo giuridico, ma anche (come spesso succede) riguardo a quelle di tipo prettamente umano.

Nel mio decreto di nomina (Tribunale di Brescia, sez. Volontaria Giurisdizione), tra i compiti dell’amministratore di sostegno si legge:

CURA DELLA PERSONA

  • Consenso ai trattamenti medico – chirurgici
  • Rapporti con i medici
  • Ricovero in strutture sanitarie, sociosanitarie e assistenziali

Così, se qualcuno dovesse pensare all’amministratore di sostegno come un contabile che si occupa unicamente di gestire entrate e uscite, credo possa comprendere come, in realtà, la responsabilità che si assume in ambito sanitario potenzialmente possa diventare enorme.

Ecco infatti che, a fronte di una procedura che “sulla carta” si propone come quella con la minor ingerenza possibile nella vita di una persona con parziale incapacità di intendere e di volere, nella realtà si concretizza in scelte che interpellano profondamente la coscienza dell’amministratore.

Se è vero che non si è chiamati ad essere medici, è pur vero che scegliere se acconsentire o no a trattamenti medico – chirurgici o ricoverare persone in strutture sanitarie, sociosanitarie e assistenziali incide profondamente sulla vita di queste ultime: sia che si tratti di uomini o donne completamente prive di discernimento, sia che si tratti di persone che non desiderano alcun trattamento della propria malattia, ci si trova a dover prendere delle decisioni molto difficili.

L’articolo 410 del codice civile, rubricato “doveri dell’amministratore di sostegno”, esplicitamente prevede che “Nello svolgimento dei suoi compiti l’amministratore di sostegno deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario.

L’amministratore di sostegno deve tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere nonché il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso. In caso di contrasto, di scelte o di atti dannosi ovvero di negligenza nel perseguire l’interesse o nel soddisfare i bisogni o le richieste del beneficiario, questi, il pubblico ministero o gli altri soggetti di cui all’articolo 406 possono ricorrere al giudice tutelare, che adotta con decreto motivato gli opportuni provvedimenti”.

Si può, così, interpellare il Giudice.

Eppure il richiamo dell’art. 410 c.c. ai “bisogni e aspirazioni del beneficiario” credo sia il nodo fondamentale: se una persona ha anche solo una minima capacità di discernimento, come non rispettare le sue volontà? Non sono né la figlia né il compagno di questa donna, che disperatamente potrebbero volerla tenere legata a sé. Ma quanto è comunque difficile rispettare la volontà di una persona, soprattutto quando i suoi occhi ti ricordano una persona che hai molto amato?

Prendersi cura degli altri richiede grande lucidità; nel mio caso, i parenti che le sono vicino hanno deciso di rispettare la sua scelta, facilitando il mio compito da amministratore di sostegno, ma non dal punto di vista umano.

Si può pensare alle scelte di un genitore, che talvolta deve decidere contro la volontà di un figlio, se si reputa che stia danneggiando sé stesso… ma fino a quando? Fino a che punto è giusto sostituirci ad un’altra persona nelle decisioni fondamentali della sua vita? Quanto è difficile valutare la sua maturità, da genitori?

Così, è proprio quando si pensa di dare, che si riceve di più. Si riceve l’insegnamento di una donna anziana, che serenamente decide di affidarsi alla vita e all’amorevole cura di chi ha intorno, senza combattere. Si riceve l’essere costretti a guardarsi dentro, e lavorare sulle proprie ferite. Si riceve il dover trovare la forza e la lucidità di comprendere che, a volte, il bene di qualcuno non è scontato e semplice da decidere.

Si riceve lo sguardo buono di una nonna perduta, che ti sorride ancora una volta, attraverso gli occhi di qualcuno che ti prende a braccetto, e decide di affrontare il suo destino.

Avvocato Beatrice Perini – Altri articoli